Tuesday, March 19, 2019

Un brano dal romanzo "In braccio alla mamma"

La prima volta che aveva scritto il suo nome, Edith Catherine Pozzuoli, su un foglio, il primo giorno del primo anno di scuola, quando nessun altro della classe sapeva scrivere proprio niente, la suora irlandese-americana quasi le sgridò.
No, no!” disse la suora. “Sarebbe meglio scrivere Pozzuol, senza la i alla fine. Così, sembra più americano e tutti ti penseranno americana. E’ meglio essere americano che italiano.”
Edith voleva ridere ma non osava. Con il suo naso napoletano, con la sua pelle scura, con i suoi capelli neri, come avrebbe fatto a fingersi americana soltanto togliendo il vocale finale dal cognome? Si guardò intorno. Quasi tutti i bambini erano italo-americani, ma nessuno di loro disse niente. Sembravano tutti impauriti. C’era anche la bambina che aveva pianto quando aveva veduto la mamma che si allontanava dalla scuola quella mattina; c’erano ancora le tracce delle lacrime sulle guance.
Edith guardò negli occhi della suora. Non aveva mai paura quando era arrabbiata, anche se dopo, quando non era più arrabbiata, era terrorizzata.
A me piace essere italiana,” disse in una voce che nessun bam-bino aveva mai usato con una suora, almeno, non un buon bambino. “Anzi, mi piace essere napoletana. E ho il naso che lo prova.”
Ecco,” disse la suora, troppo sorpresa per reagire a quello che sembrava a lei una mancanza di rispetto e anche l’insubordinazione, “Proprio di quel naso devi fare ammenda con il cognome togliendone la vocale dalla fine.”
Il mio nome,” disse Edith, scandendo bene le parole, “è Edith Catherine Pozzuoli. Sono napoletana e ne sono fiera.”
Tutti gli altri bambini guardavano il proprio banco. Quasi tutti gli italo-americani erano addirittura napoletani ma nessuno osò dire niente. La bambina che aveva pianto quella mattina stava quasi per piangere di nuovo, anche se aveva i capelli biondi, gli occhi azzurri, e un naso piccolo piccolo.
La suora, che aveva perso la pazienza, disse, “Allora, di’ alla mamma di venire da me domani dopo scuola, e ne parleremo.”
La mamma,” disse Edith, sempre scandendo bene le parole, “è di salute cagionevole. E’ stata in ospedale perché ha il cuore debole. Mi rifiuto di farle fare la fatica di parlare con lei, anche perché sarebbe inutile. La mamma direbbe la stessa cosa. Il nostro cognome è Pozzuoli e si scrive P-o-z-z-u-o-l-i!”
Cagionevole? pensò la suora. Ma che razza di parola per una bambina di sei anni! Perché questa bambina non parla come una bambina normale?
Anche se la tua mamma è in salute cattiva,” disse la suora, “dovrà venire domani dopo scuola e ne parleremo. Siamo in America e dobbiamo essere americani. Altrimenti, perché i tuoi genitori sono venuti in America se volevano essere italiani? Sarebbero potuti benissimo rimanere in Italia se volevano essere italiani.”
I miei genitori sono di Brooklyn,” disse Edith. “Non avevano scelta. Sono nati qui.”
Ecco,” disse la suora, trionfante. “Non sono nemmeno italiani, i tuoi genitori. Perché una persona sana di mente vorrebbe essere italiana se non fosse necessario? E poi, addirittura napoletana! Il tuo cognome adesso sarà Pozzuol, senza il vocale alla fine. Così, è più americano, per una bambina americana, come te.”
Io sono napoletana,” disse Edith, scandendo bene le parole. “Il mio cognome è Pozzuoli e si scrive P-o-z-z-u-o-l-i-i-i-i-i!”
Gli altri bambini, sempre guardando il proprio banco, sorridevano per gli i-i-i-i-i. Suonò come il riso di un asino. Anche la bambina che prima stava per piangere, non stava più per piangere.
La suora non sapeva cosa dire. Non aveva mai avuto a che fare con un bambino che non ubbidiva subito. Non capiva più niente. Era una suora, non una persona qualsiasi, ed Edith era soltanto una bambina, vale a dire nemmeno una persona vera.
Mentre la suora cercava qualcosa da dire, Edith disse, “Mia mamma è di salute cagionevole. Ha il cuore debole. Non deve fare troppe cose in un giorno. E domani deve fare il bucato.”
Veramente, Giulietta aveva già fatto il bucato quella mattina, ma questo non c’entrava.
Va bene,” disse la suora, abbastanza contenta di finire con quella discussione, e anche con una buona scusa per non farsi perdere la faccia, “Se la mamma è in salute cattiva, non dovrà venire a parlare con me,” con una leggera enfasi sulla parola cattiva.
Il sorriso degli altri bambini, sempre guardando il proprio banco, diventava un pochino più grande. Anche la bambina con i capelli biondi, gli occhi azzurri, e il naso piccolo piccolo, fece un accenno di sorriso. Forse la scuola non sarebbe stata poi così cattiva, dopotutto.
Edith aveva la sensazione di avere vinto qualcosa di importante, anche se non sapesse precisamente che cosa. Ma era qualcosa da pensarci quella notte a letto.
Dopo, quando i bambini aspettavano, nel cortile della scuola, le mamme per riportarli a casa, un bambino premuroso si avvicinò a Edith per darle un consiglio importante.
Non dovevi dire niente,” disse a Edith quando l’aveva rag-giunta. “E’ sempre meglio fare l’americano, per non mettersi nei guai. Devi sempre fingere di essere americano per evitare i problemi.”
Ma come riesco a spacciarmi per americana con questo naso napoletano, con la pelle un po’ scura, con gli occhi e i capelli neri? pensò Edith. E poi, perché dovrei farlo? A me piace essere napoletana. E se non piace agli altri, è un problema loro, non mio. Questo bambino stupido è soltanto un razzista contro il proprio popolo. Pozzuol! Ma come suona ridicolo!
Abbiamo già un problema,” disse Edith, “nel caso che tu non l’abbia notato. Quella suora è una razzista.”
Ma come una razzista!” disse il bambino, inorridito, con tutta la faccia spalancata e non soltanto gli occhi. “Non è possibile che è una razzista. . .”
Sia, pensò Edith.
. . .perché è una cattolica praticante e per giunta una suora. I miei genitori, che sono napoletani e fieri di esserlo, dicono sempre di tenere la bocca chiusa. C’è troppo pregiudizio contro gli italiani in questo paese.”
Non nascondi una cosa di cui sei fiero.”
Tu non capisci niente del mondo,” l’assicurò il bambino. “E poi, mio fratello aveva questa suora come insegnante l’anno scorso e raccontava a casa sempre tutto quello che diceva e faceva. Secondo la mamma, a questa suora non piace che i suoi alunni sanno. . .”
Sappiano, pensò Edith.
. . .le cose che lei non aveva insegnato loro. La suora ha le sue ragioni e devono avere qualcosa a che fare con il sesso perché quando i genitori cominciano a parlarne, parlano sempre in napoletano invece di inglese. E tu hai scritto tutto il tuo nome il primo giorno di scuola, e un nome proprio napoletano. Se io ero in te. . .”
Fossi, pensò Edith, con un sospiro.
. . .non direi mai più di essere italiana e non direi mai le cose troppo intelligenti. Era una cosa sbagliata, scrivere tutto il tuo nome, e come se questo non bastava. . .”
Bastasse! Mamma mia! pensò Edith. Ma a che serve avere il congiuntivo se nessuno lo usa mai?
. . .proprio un cognome napoletano!”
Ah, sì?” disse Edith. “Allora, vuoi sapere una cosa? Oggi, a pranzo, mangeremo il brasciol’ avanzato dalla cena di ieri sera!”
Edith gli mostrò la lingua.
Edith,” disse la mamma.
Edith si girò a guardare la mamma, gli occhi spalancati, la faccia un pochino impallidita.
Ma da quanto tempo è qui, la mamma? pensò Edith. Mi ha visto mostrare la lingua a questo bambino? La mamma dice sempre di non farlo. Dice che non è gentile, e non è per niente da signora.
Ciao, mamma,” disse Edith, coraggiosamente. Cercò di sorridere ma soltanto un lato della bocca si alzò, e solo un pochino.
Ciao, Edith,” disse la mamma con un bel sorriso.
Buongiorno,” disse la mamma al bambino. “Adesso io ed Edith dobbiamo andare a casa perché ci aspetta un bel pranzo con il brasciol’ avanzato dalla cena di ieri sera!”
Poi,” disse la mamma a Edith, “se fai la brava bambina, ti do un pochino di caffè fatto con la cuccumella. Ma solo dopo pranzo, solo questa volta. E sai cosa facciamo stasera? Facciamo una bella pizza per la cena, proprio come la fanno a Napoli.”
All’improvviso, come per magia, entrò nel cervello di Edith un nuovo pensiero. C’entrò tutto intero, senza la necessità di grattarsi la testa, come una spirale di luce, tutto piacere ed eccitazione, mandando un formicolio dalla testa di Edith fino ai piedi.
Queste parole, pensò Edith, questo tono di voce, questo sorriso, tutto questo, è così che gli adulti mostrano la lingua alla gente. Che bella sensazione quando un nuovo pensiero entra nel cervello! Quando sarò grande, sarò come la mamma. Mi piace tanto questa sensazione.
Edith sorrise alla mamma, questa volta con tutta la bocca e anche gli occhi, e anche con tutto il corpo.
Vieni, Edith,” disse la mamma, “Dobbiamo trovare quel tuo fratello che sparisce sempre.”
Prese la mano di Edith e fece per portarla via. Si girò al bambino, rimasto immobile, stecchito, a bocca aperta, e disse, “Ciao!”
Edith si girò al bambino, con la tentazione di mostragli di nuovo la lingua, però, essendo un genio, decise che sarebbe stato meglio non farlo. E poi, non sembrava più necessario.
Ciao,” disse Edith al bambino, con un sorrisetto carino.
Mamma,” disse Edith, quella sera mentre stava guardando la mamma che stendeva con il matterello la pasta per la pizza, “perché a certi napoletani non piace essere napoletani?”
Non lo so,” disse la mamma. “Forse perché fingere di essere inferiori, come quel bambino che non ti aveva detto di essere stupida ma soltanto di fare la stupida, sembra un modo di combattere il pregiudizio. Sembra più facile vivere con i tuoi difetti finti che con quelli veri, perché sembra più facile fingere di correggere i tuoi difetti finti e sembra impossibile correggere davvero i difetti veri. Francamente, non l’ho mai capito bene. Ma capisco questo: Se non sei contento di quello che sei, non puoi essere contento di nient’altro nella vita.”
Edith non disse niente. Doveva ricordare tutto questo per pensarci bene a letto.
C’è un’altra cosa che capisco,” continuò Giulietta. “Tutti i popoli hanno una bella cultura, una bella lingua, una bella cucina, i bei dipinti, le belle sculture, la bella letteratura. Quando c’è qualcosa di cattivo in una cultura, non è una vera parte di quella cultura. E’ soltanto uno sbaglio che deve essere corretto.”

Friday, March 15, 2019

malafemmina press presenta


In braccio alla mamma
un romanzo di Rose Romano

ISBN 979-12-200-4242-0

Quando Edith Catherine Pozzuoli aveva otto anni uccise sua madre e niente fu più come prima. Aveva perso non soltanto la sua amica migliore, ma era caduta da una famiglia relativamente contenta e sicura in una famiglia pazza e maligna. Quando prega la Vergine Maria di trovarle una nuova madre, promettendo che questa volta avrebbe fatto in modo che niente di cattivo sarebbe successo alla mamma, la Vergine Maria stessa viene per aiutarla. Poi, credendo che sua madre non fosse morta ma dormisse il sonno speciale e, stufa di aspettare che si svegli, decide di uccidersi per raggiungerla.

Include una Prefazione di Pina Piccolo (I canti dell’Interregno, Lebeg Edizioni); Postfazione di Maria Pallotta-Chiarolli (Tapestry: Interweaving Lives, Random House); Antologia critica di Robin Pickering-Iazzi (The Mafia in Italian Lives and Literature, University of Toronto Press), Antonio D’Alfonso (poeta, romanziere, saggista, traduttore), e Ferdinando Alfonsi (critico letterario). Il dipinto sulla copertina è di Robert Bharda.

In braccio alla mamma è disponibile a:

www.libreriafernandez.it
Libreria Fernandez
via Mazzini, 87
01100 Viterbo (VT)
Italia